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Associazione Pietro Porcinai APS

Sede legale

Via Bandini 15 - Largo Pietro Porcinai

50014 ​Fiesole (FI)

 

segreteria@associazioneporcinai.org

OPERE

VILLA MAGGIA

Torino, 1938-1941

Nel 1938 Porcinai si trovò a progettare i giardini di due ville collocate sulla collina torinese per due cugini, soci nella proprietà del lanificio "Valerio ed Eugenio fratelli Bona" di Carignano. 

Per il primo realizzò lo spazio verde della Villa Bona, chiamata anche Villa Primosole, un'opulenta costruzione di impianto classicheggiante, per la quale Porcinai disegnò un piccolo ambito formale in diretto accordo con il volume della villa. Seguiva un parco sottostante con una piscina, inserita in una pavimentazione in grandi lastre di pietra irregolari, aperta al paesaggio ma protetta dalla vegetazione, che si raggiungeva attraverso una scalinata in pietra grezza racchiusa da una galleria verde di forte suggestione. 

Quel primo giardino ha subìto notevoli rimaneggiamenti, mentre assai meglio conservato è il secondo, quello della Villa Maggia, appartenuta all'industriale Federico Maggia, personaggio dalla forte personalità, che selezionò come progettista Porcinai, dopo averne letto gli articoli pubblicati sulla rivista «Domus». Il progetto architettonico dell’edificio era stato redatto da Ottorino Aloisio, architetto razionalista che aveva modificato integralmente un quadrangolare fabbricato già esistente, con un gusto dal tipico sapore Novecentista caro alle classi benestanti italiane, la cui costruzione era giunta al rustico nel momento dell’incarico al paesaggista.

A quel disegno in colto equilibrio fra modernità e tradizione, Porcinai aggiunse un giardino che si presenta suddiviso in attinenza ai diversi momenti della vita all’aperto della famiglia: lo spazio verde è una composizione di ambienti le cui linee compositive discendono dai volumi e dalla distribuzione funzionale interna della villa. 

A settentrione è l’area di accesso; un viale tangente alla facciata conduce ad uno spazio di rappresentanza posto a fianco dell'entrata, arricchito da un patio con una vasca quadrangolare che accoglie il visitatore. A ovest e meridione sono collocati gli ambienti verso cui si affacciano le sale di ricevimento interne: stanze verdi lievemente digradanti a costituire una sequenza di spazi belvedere aperti verso i sottostanti frutteti e il più vasto paesaggio della valle. L’angolo sud-ovest, dove la costruzione ha un vasto patio, è organizzato come un piccolo giardino dal carattere moresco, con un bacino centrale. L’intero quadrante est, posto a fronte della sala che contiene la palestra della casa, è dedicato alle attività fisiche, con una grande piscina e un campo da tennis. Un decorativo percorso gradonato fronteggia infine l’ingresso all’edificio risalendo a nord l’acclive pendice collinare, per raggiungere un roseto e la zona boscata del parco. 

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(Foto Franco Panzini)

OPERE PER AZIENDA E FAMIGLIA ZEGNA

Trivero (BI), dal 1950

Gli anni della collaborazione tra Pietro Porcinai e la famiglia Zegna coprono circa venti anni e coincidono con gli anni fertili e ottimisti del dopoguerra.

Il rapporto di scambio che il paesaggista intesse con diversi imprenditori e industriali illuminati dell’epoca, tra cui Ermenegildo Zegna, è indice di una comune visione del futuro, che Porcinai indirizza verso la sensibilizzazione sulle questioni dell’ambiente, del paesaggio, dell’ecologia anche sulla scorta di idee conosciute nel nord Europa. L’avvio del dialogo tra il paesaggista e l’imprenditore nasce proprio dalla condivisione dell’interesse per il paesaggio, accompagnato da una visione illuminata ed etica del territorio. 

Il primo incarico che Porcinai ebbe fu di affiancare Ermenegildo Zegna nella valorizzazione paesaggistica di alcuni settori della strada “Panoramica” (oggi Panoramica Zegna), un tracciato viario posto sulla pendice montuosa sovrastante Trivero, dove l’industriale aveva già negli anni antecedenti la guerra avviato opere di riforestazione. Porcinai contribuì all’incremento delle piantagioni e propose la creazione di una Conca dei Rododendri, un giardino esteticamente spettacolare, facilmente accessibile a piedi, attualmente inserito nell’area protetta dell’Oasi Zegna.

Negli anni successivi seguirono proposte e progetti puntuali per la riqualificazione degli spazi di rappresentanza e dei percorsi di avvicinamento posti attorno alla fabbrica, in cui Porcinai introdusse nell’ambito dei luoghi di lavoro il gusto e il lessico del giardino moderno. Pergolati, treillages, muri “verdi”, nuove piantagioni, pavimenti in pietra, prati, scarti di quota, furono i dispositivi progettuali utilizzati per dare una nuova impronta agli spazi aperti dell’azienda, dove la vegetazione è spesso trattata in modo informale.

All’interno dell’azienda fu creato un giardino di inverno, una reinterpretazione della tipologia della serra in forma di vero e proprio salotto, dove la presenza di una vegetazione lussureggiante, a fronte dell’austerità del paesaggio alpino circostante, diveniva simbolo di un modo nuovo di intendere le relazioni sociali e l’ospitalità. 

Negli anni Sessanta seguì la creazione dei giardini delle abitazioni dei figli di Ermenegildo, Angelo Zegna, (Ca' Gianin) e Aldo Zegna (Al Roc), anch’essi occasioni di meditato rapporto con il paesaggio locale e la sua identità culturale.

Nel medesimo decennio Porcinai predispose proposte, per lo più rimaste irrealizzate, per ambiti diversi del contesto della cittadina di Trivero e del suo territorio, che di fatto rappresentò una sorta di laboratorio nel quale sperimentare l’integrazione paesaggio e operosità industriale.

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(Foto Franco Panzini)

STABILIMENTO OLIVETTI

Pozzuoli (NA), 1952-1958

Il complesso, originariamente destinato alla produzione di macchine calcolatrici, è uno degli stabilimenti della società Olivetti e fu costruito durante la presidenza di Adriano Olivetti, in un sito di alto valore ambientale affacciato sul golfo di Napoli, a settentrione dell’abitato di Pozzuoli.

Il progetto fu affidato nel 1951 all’architetto napoletano Luigi Cosenza; dopo l’avvio del cantiere di costruzione, nel 1952, Pietro Porcinai ebbe l’incarico del progetto del verde per il vasto lotto di circa tre ettari in cui sorgeva lo stabilimento, che si affacciava verso il golfo napoletano. Lavorando in stretta collaborazione con Cosenza, Porcinai ideò una sistemazione paesaggistica che integrava la fabbrica all’ambiente mediterraneo in cui sorgeva e rispondeva insieme alle esigenze funzionali degli edifici: in primo luogo quello di ombreggiare le vaste vetrate che mettevano in comunicazione gli interni con il paesaggio. Basandosi sull’impianto strutturale dell’edificio, propose di creare un’ordinata alberata di platani, il cui sesto di impianto replicasse la regolare cadenza della struttura portante, costituita da pilastri a sezione circolare. Il ritmo delle alberature era il medesimo del colonnato interno: Porcinai riprese la matrice costruttiva del corpo centrale della fabbrica per traslarla nell’impianto vegetale.

Mise in atto anche altre misure di mitigazione paesistica, come il rinverdimento delle coperture dei parcheggi o un bacino d’acqua dalle forme sinuose, riserva d’acqua antincendio, che avrebbe però dovuto ospitare anche un giardino acquatico. Lo stabilimento venne inaugurato nel 1954, ma Porcinai continuò a collaborare con l’azienda anche negli anni successivi per completare le piantagioni; lavorò, sempre insieme a Cosenza, anche al progetto del corredo verde del complesso di alloggi per i dipendenti, che furono realizzati nella vicina Pozzuoli.

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(Foto Luigi Latini)

VILLA FIORITA

Saronno (VA), 1952-1958

L'attività professionale di Porcinai è punteggiata dalle tante occasioni nelle quali l'opera del paesaggista si affiancò a quella di affermati architetti. Intrigante è il risultato del primo lavoro che vide Porcinai curare gli aspetti paesaggistici di un progetto dello studio milanese BBPR, gruppo con deciso orientamento internazionale, che aveva partecipato dagli anni Trenta alle più avanzate esperienze della cultura architettonica.

L'occasione del progetto nacque dall'ampliamento e dalla riqualificazione di una proprietà della famiglia Riva, industriali del settore tessile, già esistente: un villino con giardino dei primi decenni del novecento a cui erano nel tempo state aggiunte due proprietà adiacenti, così da formare una vasta area aperta dalla configurazione trapezoidale. Il progetto architettonico fu redatto nel 1950; Porcinai ottiene l'incarico per il giardino nel 1952, a lavori già avviati. 

Il sito dell'intervento era una zona di periferia urbana in piena pianura, con un intorno insignificante; mancavano quei riferimenti visuali o quel paesaggio vegetale con cui Porcinai amava porre in concordanza i suoi progetti. Per movimentare la morfologia del giardino ed unificare i diversi frammenti con cui  era stato composto, il paesaggista fece scavare lievemente la zona centrale e con il terreno di riporto costruire una duna lungo l'intero lato meridionale che venne rinverdita con vegetazione bassa così da fungere da quinta visuale fondale.

Un secondo elemento ideato per unificare l'insieme fu un 'viale fiorito', un prato lineare, delimitato da un bordo in pietra, nel quale erano concentrate le fioriture del giardino. Questo nastro colorato è intersecato dalla ricurva strada carrabile che serve la proprietà e da sinuosi percorsi pedonali pavimentati con lastre di pietra. Conducono a quelli che sono gli elementi più singolari della composizione: dieci specchi d'acqua in vasche rotonde di dimensione diversa; la maggiore contiene a sua volta altre vasche circolari destinate alle piante acquatiche. Gruppi alberati dal fogliame denso sono collocati verso il perimetro del giardino, mentre alberature dalla chioma più trasparente sono poste nelle zone intermedie; completano la composizione statue settecentesche e sedute in pietra disegnate dallo stesso Porcinai che segnalano il dispiegarsi dei percorsi. 

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VILLA RATTI

Como, 1957-1962

Commissionato dall’illuminato industriale della seta Antonio Ratti, il giardino, che si inerpica su un declivio rivolto al panorama del lago di Como, cinge un’elegante villa risalente agli anni Venti, che Porcinai rivestì integralmente di vite americana. Per questa signorile residenza, la solida maturità progettuale di Porcinai gli permise di configurare un progetto ardito, misurandosi in complessi interventi ingegneristici che rimodellarono tre ettari di un’area naturalmente scoscesa, preservata a bosco nella parte più alta e ingentilita in quella sottostante con terrazzamenti artificiali a giardino. I giardini terrazzati, collegati da scale in pietra, rampe e sinuosi sentieri che girano intorno alla dimora, sono parzialmente pensili, realizzati al di sopra  di vari ambienti. Innanzi alla facciata principale dell’edificio si apre in ampio parterre circolare a prato con al centro un isolato cipresso che spinge lo sguardo oltre la linea dell’orizzonte, mentre la modellazione della morfologia accoglie brani prativi ombreggiati da grandi alberi, la piscina, campo da tennis, serre, un roseto. Ai margini del retrostante bosco, sapientemente vivacizzato dalle mutevoli cromie di aceri, carpini, bagolari, rododendri, lecci, corbezzoli e azalee, una passeggiata panoramica dischiude in sommità la più ampia e suggestiva veduta sull’armoniosa simbiosi di giardini e paesaggio nel panorama del paesaggio lacustre. 

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PARCO DI PINOCCHIO

Collodi (PT), 1962-1971

Collocato a Collodi, frazione del comune di Pescia in riva all’omonimo torrente da cui trasse lo pseudonimo Carlo Lorenzini, autore del celebre Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, il Parco dedicato al celebre personaggio fu ideato nel fervore degli anni della ricostruzione postbellica e plasmato sui contenuti di una fiaba tradotta in spazio-racconto di arte, architettura e paesaggio, divenendo l’antesignano esempio dei parchi a tema in Italia. Indetto nel 1953 dal sindaco di Pescia Rolando Anzilotti, il relativo concorso nazionale designava per la prima volta a monumento un’ampia superficie incolta per essere tradotta in giardino ed elevata a spazio d’arte, orientando il verdetto della giuria a valutare l’attenzione dei concorsisti alla continuità visiva con la vicina Villa Garzoni, il suo giardino e il paesaggio. Vennero dichiarati vincitori ex aequo due proposte: una scultura di Emilio Greco e una piazzetta a quadri mosaicati rappresentativi degli episodi della novella di Pinocchio abbracciata da un bosco sempreverde presentata dagli architetti Renato Baldi e Lionello de Luigi assieme allo scultore Venturino Venturi. Dopo l’inaugurazione del 14 aprile 1956, il successo arrise alla realizzazione e si intravide la possibilità di ampliare l’intervento sulla base del secondo progetto classificato, a suo tempo presentato da Pietro Consagra che subito vi affiancò Marco Zanuso. Un percorso narrativo e interattivo di folies e sculture, molte delle quali avrebbero dovuto essere dotate di movimento, evocative delle avventure di Pinocchio; accanto all’ampia superficie del nuovo parco era prevista la contestuale realizzazione di strutture turistico-ricettive. Chiamato nel 1962 da Zanuso a risolvere lo stallo dei lavori dovuto al gran numero di nuove attrazioni che erano state previste, Pietro Porcinai, che ammirava l’opera di Venturino Venturi e rinunciò al compenso pur di prestare la propria professionalità alla realizzazione del parco, ideò un percorso-giardino a unificazione e significazione degli episodi. Ne scaturì il progetto di un raffinato e variegato paesaggio artificiale, modellato in armonica sintonia al contesto narrativo del libro, al quale rimanda attraverso plurimi stimoli percettivi: una serie di brani di racconto furono tradotti in scenografie a giardino che abbracciano sculture e architetture e immergono nella favola. Se al gennaio 1963 risale la prima tavola presentata da Porcinai, molteplici varianti  in dialogo collaborativo in particolare con Zanuso si succederanno numerose, neii due anni successivi. A queste quasi definitive stesure si aggiungeranno ulteriori modifiche e continui raffinamenti anche in sede di cantiere edile e l’Osteria, il Villaggio di Pinocchio, la Casa della Fata verranno terminate con le variazioni vernacolari ed economiche proposte da Porcinai, il cui progetto definitivo prevederà tre ambientazioni botaniche, diverse per specie e mélanges cromatici scelti anche in valenza simbolica agli episodi in avvicendamento di percorsi e stanze verdi. Dopo cinque anni di faticosi avanzamenti, sopraggiunti gli ultimi finanziamenti i lavori terminarono in soli 18 mesi con l’inaugurazione il 1° luglio 1972. 

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VILLA IL ROSETO

Firenze, 1961-1965

Progetto di raffinata corrispondenza fra struttura, funzione ed estetica, ideato e realizzato sulla matrice del cerchio, è forse il più costruito dei giardini di Porcinai, il quale intervenne in maniera fortemente propositiva, giustapponendo alla facciata della villa storica un giardino integralmente pensile, posto quattro metri sopra l’originale quota di calpestio. 

L’ingresso principale, prima servito da una scala a tenaglia, venne così a trovarsi in diretta comunicazione con la geometria topiata, a ricorrenze circolari, della prospiciente piattaforma a prua di vascello, da cui si dispiega un’ampia visuale verso Firenze e lo storico paesaggio agrario extramoenia. Le tavole di studio evidenziano il percorso di progressivo raffinamento di un’idea audace, che sotto l’innovativa sopraelevazione dispone una sequenza di colonne di cemento a reggere volte ribassate – formalmente corrispondenti alla reiterazione del cerchio che nello spazio soprastante disegna il giardino – declinate a pozzo di luce, prato, vasca d’acqua, vano scala e sottostante vasca a zampillo, che collega al piano inferiore. Là dove lo spazio fra le volte permette un maggiore spessore di terreno vennero piantati cespugli di bosso e altifusti che, quando preesistenti, svettano da fori circolari appositamente praticati nella soletta che sorregge il giardino. Al di sotto di questo, Porcinai configurò un elegante ipogeo, utilizzabile come ampio parcheggio, studiato in ogni particolare decorativo, con pavimentazione in ciottoli bianchi e neri e muri perimetrali con finiture a graffito, secondo la tradizione toscana. Si realizzò così un arioso volume da potersi all’occasione trasformare in elegante salone delle feste. 

Al giardino pensile si affianca un secondo ampio digradante giardino sul retro della villa, in gran parte lasciato a uliveto, cui si aggiungono sinuosi percorsi, un roseto, un campo da tennis, una piscina costruita con i sottostanti spogliatoi in parziale elevazione per offrire ulteriori visuali sul disegno della campagna. 

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MEMORIAL MATTEI

Cascina Albaredo, Bascapè (PV), 1963-1964

Nella primavera del 1963, Porcinai ricevette dall’azienda SNAM Spa, l’incarico di sistemare il terreno dove nel corso dell’anno precedente era precipitato l’aereo su cui viaggiavano il presidente dell’ENI, Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi ed il giornalista americano William Mc Hale. Al paesaggista viene chiesto di configurare quella porzione di pianura (“ottanta metri quadrati di suolo piano, acquitrinoso, attraversato da una roggia”, come preciserà Bruno Zevi in un suo articolo del 1964) sconvolta dall’impatto della tragedia, per creare un luogo commemorativo in ricordo delle tre vittime. Porcinai disegnò un paesaggio evocativo, delineando un prato quadrangolare lievemente rialzato e delimitato da un recinto quadrangolare, formato da una bassa siepe e un filare di schermatura di Taxodium distichum, una conifera a foglia caduca che si colorano di rosso nel periodo autunnale, quello dell'incidente. L’esistente roggia venne deviata e mutata in un canale d’acqua che asseconda il perimetro dell’area; mentre all’interno del grande rettangolo inerbito, Porcinai collocò un secondo recinto, ancora un prato delimitato da blocchi di pietra, con tre querce e una stele commemorativa. Di quella sistemazione Zevi scrisse: “Porcinai, uno dei rarissimi esperti italiani nella disciplina del paesaggio, ha semplicemente recinto un prato, dando un esempio di moralità degno di essere meditato dai committenti e dagli architetti facinorosi". (Bruno Zevi, Memorial in Italia: un prato per Enrico Mattei, in «L'Espresso», 29 marzo 1964).

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VILLA L'APPARITA

Siena, 1966-1970

Chiamato da un collezionista d’arte con passione per il teatro, Porcinai venne incaricato di realizzare un poetico giardino-paesaggio attorno ad un’austera villa rustica, un edificio in mattoni faccia a vista con loggia a due piani attribuita a Baldassarre Peruzzi che dalla sommità di un poggio domina la suadente armonia della campagna senese. Configurò un intervento di rara sensibilità, quasi impercettibile per l’armonico e sobrio risultato, frutto invece di trasformazioni morfologiche e ingenti movimenti di terra. 

Rivoluzionando i rapporti tra edificio, giardino e paesaggio modificò integralmente la percorrenza di accesso, rimodellando il terreno sulle ondulazioni della campagna circostante. Realizzò attorno alla signorile dimora un ampio prato dolcemente sagomato, per il quale suggerì di non utilizzare irrigazione, così che nella stagione estiva assumesse la naturale colorazione ocra della campagna senese. 

L’ingresso alla proprietà, priva di recinzione perimetrale e mantenuta nella vocazione agricola di estesi coltivi, vigneti e oliveti, è segnato da due pilastrini in travertino che invitano ad un percorso carrabile in trincea risolto con raffinate tecniche di ingegneria naturalistica. Un’ampia curva pavimentata in mattoni e invisibile dalla quota del giardino, conduce al parcheggio coperto, anch’esso celato in una depressione di terreno. Da qui sale, altro profondo solco nella morbida modellazione di calpestio, un camminamento pedonale a versanti coperti di ginestre, che termina in asse alla facciata principale dove un arco d’edera incorona l’ingresso. Due vigorosi cipressi stagliano poco lontano le nette verticali a segnalare – prassi ricorrente nella riproposizione novecentesca degli storici teatri di verzura – il teatro all’aperto. Una semplice cavea erbosa con 26 panche disposte a emiciclo verso il sottostante proscenio circolare delimitato da siepi di ginestre e viburni a creare una quinta scenica segmentata da cinque piedritti sormontati da vasi in terracotta. 

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VILLAGGIO TURISTICO GIOIA DEL TIRRENO

Vibo Valentia, 1966-1970

Il villaggio nacque come Club Mediterranée nel contesto dei programmi economici nazionali che indicavano nell’espansione degli insediamenti turistici uno dei principali strumenti della politica della Cassa del Mezzogiorno. Dal punto di vista disciplinare la progettazione di un villaggio per le vacanze rappresentò insieme l’occasione per sperimentare una nuova tipologia architettonica, un grande insediamento turistico come servizio integrato con il territorio e la comunità locale.

La società Organizzazione Tecnico Edile Spa (OTE) si occupò della sua realizzazione e si avvalse dell’opera dell’architetto Pierfilippo Cidonio e del paesaggista Pietro Porcinai, per mettere a punto un piano per l’area strettamente integrato. Il progetto architettonico venne organizzato su geometrie rigide dal ritmo serrato, modulato attraverso cellule abitative, parzialmente realizzate, organizzate in due grandi blocchi a corte collegati ad una lunga galleria parallela alla spiaggia che, con i suoi 250 metri, su tre livelli, caratterizza l’intervento e separa idealmente il complesso turistico dall’insediamento urbano. L’idea di partenza era quella di realizzare una vera e propria tranche insediativa ripetibile e componibile, aperta ad inglobare futuri sviluppi delle attività residenziali e turistiche sul territorio.

In un contesto in cui le forme dell’architettura si imponevano come protagoniste, con ampie superfici di cemento faccia a vista, e per un sito che era già stato un un ex aeroporto militare dove ogni forma vegetale e morfologica era stata cancellata, il progetto di Pietro Porcinai previde la realizzazione di una fascia di rimboschimento a pineta verso il mare.

L’intervento, definito da Porcinai come un vero e proprio “restauro della natura”, fu effettuato attraverso la formazione di una doppia duna di sabbia sul fronte del mare, con tecniche di vegetazione avanzate, che deviavano verso l’alto i “venti salsi”, controllando così anche il futuro microclima del villaggio. Le dune, opportunamente sagomate, hanno anche la funzione di inserire gli ambienti del villaggio e dell’insediamento, le piscine, le aree di ritrovo, il teatro all’aperto, i campi sportivi, le residenze, all’interno di un parco naturale. 

Il progetto delle piantagioni presenta aspetti di estremo interesse dal punto di vista paesaggistico, funzionale e ecologico, oltre che delle tecniche orticolturali. 

Dopo decenni di attività virtuosa, durante la quale il complesso ha rappresentato un punto di riferimento per il territorio, anche con il passaggio di proprietà alla Valtur, dal 2011 il complesso è chiuso e in vendita e dal 2019 è stato dichiarato di particolare interesse paesaggistico e architettonico dal Mibact. Le strutture versano in condizioni di degrado e sono occultate dalla vegetazione che presenta più di 15.000 piante dal carattere di ecosistema mediterraneo consolidato di estremo interesse, dove è ancora leggibile il disegno compositivo di Porcinai. 

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(Da in alto a sinistra: L'Architettura, maggio 1972; Marco De Petrillo, 2018; Giorgio De Rossi, 2000)

SEDE CENTRALE AZIENDA MONDADORI

Segrate (MI), 1968-1975

Nel 1968, Arnoldo Mondadori, il fondatore dell'omonima casa editrice, lasciò la presidenza per trasmetterla al figlio Giorgio, il quale aveva visitato Brasilia e apprezzato in particolare un’opera dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, il cosiddetto Palazzo di Itamaraty, sede di rappresentanza del Ministero degli Esteri. Nello stesso anno si decise di spostare la sede da Verona a Milano e l’incarico di  disegnare l’edificio che l’avrebbe contenuta andò all’architetto brasiliano, a cui si chiese un edificio che replicasse la monumentalità di quell’edificio di Brasilia, ai cui giardini aveva lavorato Roberto Burle Marx. 

Niemeyer accettò, mutuandone l'elemento più significativo, il colonnato gigante, ma alterandone il ritmo con l'introduzione di campate irregolari. Nel 1971, mentre l’edificio era in costruzione, le sistemazioni verdi del nuovo complesso furono affidate a Pietro Porcinai, il quale giustappose, al gusto apertamente transnazionale dell'edificio di Niemeyer,  un progetto di paesaggio che provava a riannodare l'architettura al contesto della pianura lombarda e alla sua ecologia. Lo esplicitava nella relazione di progetto: 

"Col progetto per il verde si mira a realizzare attorno alla nuova sede della Mondadori uno spazio che ricordi il paesaggio agrario della "marcita lombarda" cioè quello che preesisteva prima dell'attuale urbanizzazione. Tale paesaggio (…) era caratterizzato dalla sapiente regolazione delle acque e dei frangiventi ai limiti dei campi coltivati. (...) Questo nei campi mentre nei parchi annessi alle ville gentilizie (…) con i carpini tagliati si realizzavano le "architetture verdi" tipiche di ogni giardino italiano del Rinascimento (…) Tutti questi vecchi elementi trovano eco e forma e diverranno elementi vivi ed attuali attorno alla nuova sede della Mondadori". 

Il perimetro del grande lotto venne densamente alberato, ad evocazione delle fasce frangivento presenti nella campagna, mentre la zona centrale fu risolta con una composizione di vasti prati ondulati di erba da fieno, delimitati da filari di carpini e pioppi le cui forme evocavano i giardini storici, ma si armonizzavano parimenti con la verticalità dei grandi archi dell’edificio. A completare l’insieme furono inseriti anche specchi d'acqua, arricchiti di vegetazione ripariale, perché attirassero l’avifauna di passo. 

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OPERE DI MITIGAZIONE PER L'AUTOBRENNERO

Verona-Brennero, 1970-1975

Dopo che nel 1960 fu terminato il progetto definitivo dell’autostrada diretta al Brennero e con alcuni cantieri già consegnati nel 1965, Pietro Porcinai venne incaricato di studiare l’inserimento di quella che sarebbe stata la A22 nel paesaggio, riconoscendogli la qualità di unico architetto del paesaggio in Italia che potesse occuparsi in modo professionale dell’argomento. 

Porcinai mise celermente in opera una vera e propria macchina di ricerca, che lo porta a confrontarsi con i migliori studi professionali, dipartimenti pubblici e università d’ Europa e degli Stati Uniti. Tra tutti emergono i rapporti tenuti con H. M. Schiechtl, rappresentante della tradizione ecologica tedesca e fautore delle tecniche dell’ingegneria naturalistica, che aveva il compito di seguire gli stessi lavori autostradali nel versante austriaco.

L’esperienza è innovativa per i tempi e riveste ancora grande valore, soprattutto dal punto di vista metodologico, a prescindere dai risultati, oggi poco percepibili, dopo anni di continue trasformazioni.

Con la consapevolezza che, come scritto nella relazione al progetto, “ […] il tracciato di un’autostrada è, in un certo senso, una ferita che si apre sul volto della natura: occorre che questa ferita non sia un volgare sfregio, ma un opera di alta plastica, che accresca la bellezza e che […] arrechi il minor danno possibile […]”, Porcinai affrontò l’incarico con risultati non solo strettamente progettuali, ma aattraverso più ampie riflessioni sul valore e sulla conservazione del paesaggio. 

Il modello sceltoera quello della parkway americana, ma riportata alla scala più contenuta del contesto europeo. Le principali azioni progettuali proposte riguardarono la piantagione di grandi sistemi arborei e arbustivi, con rimandi visivi ai sistemi ecologici e agricoli circostanti, il raccordo del tracciato con la morfologia naturale attraverso scarpate inerbite, la messa in opera di sistemi di barriere visive, antiabbagliamento e acustiche vegetate, la manutenzione e i suoi costi.

Molti aspetti rimasero inespressi, in un contesto culturale ancora arretrato e resistente a proposte innovative.

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VILLA IL CASTELLUCCIO

Ponte a Cappiano, Fucecchio (FI), 1971-1980

Realizzato nell’arco di oltre dieci anni, il giardino rappresenta una fra le più felici esecuzioni di Pietro Porcinai, che trovandosi a collaborare con committenza illuminata ed efficienti figure professionali può cimentarsi in un progetto innovativo all’interno di un’ampia proprietà di oltre 18 ettari. Il risultato è un giardino-paesaggio, integrato alla geometria agraria storica, che si dispiega attorno ad un percorso erboso ad anello realizzato a mezza costa, fasciato con masse di vegetazione, che funge da perimetrazione fra giardino superiore e intervento paesaggistico-agrario sottostante. 

Dispositivo privilegiato di percorrenza e percezione è la bordura anulare in fioriture alternate che si rende micro-paesaggio nel paesaggio, snodandosi nei valori cromatici, visuali e olfattivi e che cinge il giardino superiore, modellato da Porcinai in orografia sinuosa e siepi a disegnare spazi geometrici per zona pranzo, aree giochi e sosta, garage, piscina e serra, tennis e pioppeto. La piscina con solarium è collegata alla casa anche da un percorso sotterraneo illuminato da lucernari. Schermata da siepi e decorata da piante acquatiche e papiri è parzialmente coperta da serra con vetrate scorrevoli e affiancata da spogliatoi, servizi, cucina e stanza relax con camino, risultando così utilizzabile in ogni stagione. 

Poco lontano un elegante campo da tennis ad anfiteatro, schermato da siepi di leccio con viburni, santoline e rose ‘chamois’ in scarpata e percorso trasversale a gradini a salire verso la tribuna. Qua e là tocchi poetici confermano la firma del paesaggista: un gazebo ricoperto di acero campestre da dove godere il tramonto, un pioppeto in lieve pendio che offre la suggestione della sonorità delle foglie mosse dal vento. 

Una sistemazione a bosco cinge il confine perimetrale delle coltivazioni a seminativo e uliveto, i pascoli e i vicini maneggi per cavalli, fungendo anche da consolidamento attorno al lago le cui pendici sono sagomate a gradoni piantati a macchia con salici e canneti, olmi e sorbi misti a cipressi.

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PARCO ARCHEOLOGICO DI SELINUNTE

Selinunte (TP), 1972-1980

Creato a partire dal 1972 in uno dei siti archeologici più importanti del Mediterraneo, il parco è il risultato di un lavoro interdisciplinare all’avanguardia a cui parteciparono: Vincenzo Tusa, archeologo e soprintendente per i Beni Archeologici della Sicilia Occidentale, Pietro Porcinai, paesaggista, Matteo Arena architetto progettista e Franco Minissi, architetto con specializzazione in museografia.

La consapevolezza della necessità di ricomporre i sistemi archeologici presenti preservando i valori storici, paesaggistici e ambientali dell’ambiente antico in una “vivente contemporaneità”, come la definì Tusa, portarono a individuare una nuova categoria di parco archeologico. L’idea chiave riguardava la conciliazione della tutela degli equilibri storici e ambientali del paesaggio con il mantenimento delle diverse attività preesistenti compatibili con la conservazione dei monumenti e delle trame storiche. Particolare rilevanza assunse nella progettazione il sistema dei percorsi tematici, su cui fondare le relazioni visuali con e tra i monumenti archeologici a partire dalle tracce delle emergenze archeologiche e delle relazioni ambientali e percettive. 

Questo approccio portò Porcinai a studiare nel dettaglio il rapporto con il paesaggio circostante, con l’elaborazione, in particolare, di diverse soluzioni percettive, per definire i confini dell’area. Vennero affrontate questioni di schermatura acustica o visuale di elementi di disturbo, o apertura su elementi di pregio, con la configurazione di diverse soluzioni: dalla piantagione di specie arbustive spinose, alla combinazione di specie vegetali con recinzioni metalliche, a fossati, sull’esempio dello ha-ha del giardino paesaggistico. 

L’attenzione agli aspetti percettivi portò tra l’altro a determinare due dei principali elementi del progetto, una duna artificiale in terra, con funzioni di schermatura acustica e visiva, ma anche “dispositivo di iniziazione” per il visitatore e il “piazzale dei tre canali visuali”. La duna, ricoperta di specie della locale macchia mediterranea, oltre che schermo visuale, è un meccanismo di incremento della biodiversità e avrebbe anche dovuto accogliere percorsi in quota per scoprire ambiti diversi dell’area archeologica. Il piazzale, da cui si aprono tre diverse viste rivolte all’area archeologica, che attraversano varchi aperti duna avrebbe dovuto costituire l’ingresso spettacolare al sito, viene oggi utilizzato invece come uscita.

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(Foto Tessa Matteini)

SAGRATO DELLA CHIESA DI SANT'AMBROGIO DELLA COSTA

Zoagli (GE), 1983-1984

Nel 1981 Pietro Porcinai presentò al comune di Zoagli il progetto di massima della piazza municipale che si affaccia sulla spiaggia sottopassando il tracciato ferroviario che perimetra a mare il paese. La pavimentazione era prevista in raffinato disegno di onde stilizzate su disegno di Costantino Nivola. Lo scultore, il 25 settembre 1981 scriveva all’amico Porcinai quanto previsto in decorazione: “un vomito di prodotti del mare nella piazza, sirene, pesci, nettuni, ecc., in scultura su pavimento di ciottoli bianchi e neri a disegno di ondine sulla sabbia”. Alla composizione era previsto di affiancare alte palme presso i piloni del ponte ferroviario per ridurne il drammatico impatto. 

Il progetto non venne realizzato, tuttavia nel 1983, la rielaborazione dello stesso motivo venne riproposto da Porcinai poco lontano, per il sagrato della storica chiesa di S. Ambrogio della Costa, situata sulla collina di Zoagli. Nello spazio antistante l’arroccato luogo di culto, un’area terrazzata belvedere con vista mare, delimitata da un basso muro che funge da seduta, venne in breve tempo realizzata da maestranze locali la pavimentazione in ciottoli bianchi e neri secondo la tradizione ligure, con il motivo delle onde che stilizzano il movimento ondivago del mare. Questa sistemazione è intersecata da strisce in ardesia a spacco, che riverberano la partizione interna della chiesa a tre navate. Alcuni grandi esemplari di leccio, preesistenti e inseriti nel disegno della pavimentazione, associano alla vista sul mare il piacere della frescura ombrosa nei mesi estivi. 

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